Aima ossia sangue ovvero il segno dei Patti delle Alleanze di Dio
La fondamentale accezione fisiologica della parola, ossia sangue (dell’uomo) riferita in Io 19,34 di Gesù, spiega l’uso, comune nel N.T. e al giudaismo, della perifrasi per in dicare l’uomo. Carne e sangue definiscono l’uomo come effimera creatura terrena immensamente inferiore all’Altissimo (Mt 16,17); l’uomo nella sua incapacità a contrapporre la propria autorità alla rivelazione di Dio (Gal 1,16) nella sua debolezza e finitezza (1 Cor 15,50); nella sua piccolezza di fronte al mondo dei puri spiriti; nella sua natura ,materiale soggetta alla morte (Heb 2,14). Nell’ultimo passo, a differenza degli altri, è probabile si ribadisce più incisivamente l’intrinseco legame tra la vita fisica dell’uomo e la sfera della materia.
In una formula giudaica (NON veterotestamentaria) si indica l’uomo sia come individuo sia come genere, nella sua condizione di creatura e nella sua lontananza da Dio (Eccl 14,18). Invece quando gli autori greci accostano sarx e aima vogliono piuttosto indicare gli elementi di cui è composto il corpo umano.
L’idea del sangue come elemento genetico, come veicolo della vita della specie che si riproduce spiega l’espressione di Io 1,13, nati dal sangue, dove il rarissimo plurale aimata indica un duplice sangue, quello del padre e quello della madre, che fondendosi generano una nuova vita. Analogamente in Act 17,26 il sangue del capostipite è presentato come il legame che stringe in unità tutto il genere umano.
Aima nel senso di progenie fisica è attestato già in Omero In I.G. XIV 1003,1
- Il divieto di cibarsi di sangue (animale), stabilito dalla risoluzione del concilio apostolico (secondo il testo orientale) in Act 15,29 è fondato sulla concezione veterotestamentaria e giudaica del carattere sacro del sangue. Come veicolo della vita il sangue delle vittime è mezzo di espiazione dei peccati. Lev 17,11. Ciò spiega la proibizione categorica di mangiar sangue che si trova formulata nel Pentateuco (Lev 17,10.14; 7,26; 3,17; Deut 12,23; Gen 9,4) e che vigeva effettivamente nel mondo veterotestamentario e giudaico come attestano 1 Sam 14,32 ss Iub 6,7-12 ecc.
- Versare il sangue significa distruggere il veicolo della vita e quindi la vita stessa. Erciò aima può essere usato nel senso di sangue versato, soppressione violenta della vita, uccisione in riferimento alla morte di Gesù. (Mt 27,4.24; Lc 11,50; Ap 16,6; 17,6: 18,24; 19,2). La espressione comune nel A.T. e nel giudaismo nonché nel greco profano, è usata anche nel significato metaforico di uccidere senza effettivo spargimento di sangue: Lc 11,50, Act 22,20; Rom 3,15; Apoc 16,6. Dio vendica il sangue innocente sparso Apoc 6,10. Il divieto di uccidere fissato dalla risoluzione del concilio apostolico (secondo il testo occidentale) esprime uno dei cardini della morale cristiana primitiva Act 15,29 e in Heb 12,4 “non avete ancora resistito fino allo spargimento del sangue” con ogni probabilità non allude al sacrificio della vita del martirio, ma indica, con la metafora militare della lotta cruenta, l’estrema resistenza contro il peccato. In Act 20,26 aima è usato in senso di tanatos, di morte eterna, che è la condanna del peccatore.
Aima exXeein uccide ricorre in Aesh, Eum 653. Nei LXX traduce spesso safak dam in Gen 9,6 Deut 19,10 Is 59,7 o nella preghiera giudaica che invoca vendetta del III sec. A. C.
Poi “Se Dio è così corrucciato per il sangue dell’empio che viene sparso (nella condanna a morte) quanto più lo sarà per il sangue del giusto” La divinità è vindice del sangue sparso. Con aima si indica la maledizione dell’omicidio o in Ez 18,13.
Nella lettera agli ebrei aima indica spesso il sangue dei sacrifici veterotestamentari, quel sangue che servì ad allontanare dagli ebrei l’angelo sterminatore (11,28), a sigillare la prima alleanza con Dio (9,18) a consacrare il tabernacolo di convegno e gli oggetti di culto (9,21) che veniva sparso a scopo di espiazione e purificazione (9, 7.12s 22.25; 10,4; 13,11).
Nel N.T. aima acquista il suo più alto significato teologico quando è usato in connessione con la morte di Cristo; 1 Cor 10,16 Eph 2,13, Heb 9,14, 1 Io 1,7, 1 Petr 1,2, 1 Cor 11,27, Apoc 7,14, 12,11. L’interesse del N.T. non è rivolto al sangue come elemento della vita fisica del Cristo, ma al sangue che egli ha versato nel sacrificio supremo. Allo stesso modo di “croce” così anche “sangue di Cristo” è solo una designazione icastica della sua morte salvifica. Secondo la formula eucaristica il sangue di Cristo è garanzia di una nuova alleanza con Dio 1Cor 11,25, “questo è il calice del nuovo patto fra Dio e l’uomo sigillato in virtù del mio sangue; Mc 14,24 ossia la morte sacrificale del Cristo garantisce quella nuova alleanza annunziata in Ier 31,31 ss che si concreta nella nuova legge che è scritta da Dio non più sulla pietra ma nei cuori e comporta il perdono dei peccati. Come l’Antica alleanza del Sinai fu sigillata e resa operante col sangue Heb 9,18 (Ex 24,8), così il nuovo patto con tutti i suoi benefici incomparabili è confermato e reso valido per sempre dal sangue di Gesù.
La stessa idea, quella cioè della morte di Cristo come fonte della remissione dei peccati – che è uno dei due effetti della xainè diatexe– ritorna nelle affermazioni di Paolo, della prima di Pietro e di Giovanni e dell’Apocalisse relative al sangue di Gesù.
Il fatto che in questi passi, accanto a semplici accenni alla realtà della morte di Cristo e ad immagini tratte dalla sfera giuridica (giudizio, riscatto, conclusione di pace), s’incontrino spesso concetti del linguaggio sacrale (espiazione, aspersione, purificazione, agnello senza macchia e colpa) non significa che al “sangue di Cristo” venga attribuito il valore di un sacrificio cultuale. Come in parte già nel tardo giudaismo l’idea del sacrificio si presenta sbiadita e viene assunta come simbolo di determinati valori morali, così il primitivo concetto cristiano del sangue offerto da Cristo in sacrificio sta ad esprimere solo l’abnegazione suprema e l’assoluta obbedienza a Dio di cui Cristo dette prova morendo sulla croce (Phil 2,8; Rom 5,19; Heb 5,8. L’idea israelitica e greca della forza purificatrice ed espiatrice del sangue è affatto estranea alla formula neotestamentaria del “sangue di Cristo”, che è in sostanza un’espressione icasticamente pregnante dell’opera salvifica di Gesù. Anche nella lettera agli Ebrei la contrapposizione tipologica del sangue di Cristo, Sommo Sacerdote celeste, al sangue delle vittime dell’A.T. va intesa in senso puramente figurato.
L’accento fondamentale di questi passi batte sul valore religioso e morale del sangue di Cristo che purifica la coscienze delle opere “morte”, 9,14. Anche quando 1 Cor 10,6 Paolo definisce la comunione eucaristica con il Signore glorificato, e quando Giovanni parla dell’azione di mangiare la carne e bere il sangue di Cristo (Io 6,54.56) , il “sangue” è soltanto una designazione plastica della morte: nel banchetto eucaristico il cristiano è intimamente consesso con Cristo che ha offerto la sua vita. E’ estranea a Paolo e a Giovanni una mistica del sangue come quella dei misteri. L’accentuato realismo dell’idea sacramentale in Giovanni si spiega con l’atteggiamento antidocetico che il quarto vangelo ha in comune con la 1 Io a proposito di Io 19,34.
Nell’A.T. il sangue è presentato come strumento di espiazione (Lev 17,4) , di purificazione (Lev 14,1ss 10ss guarigione della lebbra), di consacrazione sacerdotale, di allontanamento dal pericolo (Ex 12,22). Anche la religione greca attribuiva al sangue una funzione purificatrice.
Il sangue di Cristo è così interpretato nella sua realtà fisica e mistica da Clem. Al. Paed. II 2,19,4.
L’ellenismo celebrava la mistica del sangue nel culto di Dionisio Zagreo , allorquando gli adoratori del dio si univano a lui divorando e mangiando con selvaggio furore l’animale in cui esso era incarnato e specialmente nelle taurobolie e criobolie dei misteri di Atti, dove la rinascita e la deificazione dell’iniziato avvenivano attraverso la sua aspersione col sangue animale sacro-
- Nel linguaggio apocalittico aima indica il color rosso simile al sangue che contrassegna i tremendi eventi escatologici in terra e in cielo: la guerra (Act 2,19), la grandine e il fuoco (Apoc 8,7), l’arrossamento dell’acqua (8;18; 11,6;16,3), della luna (Apoc 6,12 Act 2,20), il giudizio dei popoli (Apoc 6,12).
Nell’A.T. fondamentale per il concetto di aima (nel senso di color rosso) come segno di sventura è Ex 7, 17. La definizione del vino si trova in Gen 49, 11; Deut 32,14; Eccl 39,26; 50,15. L’immagine escatologica della vendemmia ricorre in Is 63,3. Per Apoc 14,20”il cavallo guaderà immerso fino al petto nel sangue dei peccatori”.